Cura del territorio a vocazione tartufigena
La cura del territorio e soprattutto del territorio a vocazione tartufigena è un obbligo morale per tutti i raccoglitori di tartufi poiché è da questo che trae i frutti. Infatti è necessario avere tutta una serie di attenzioni affinchè, a seguito della raccolta di tartufo, la pianta ed in particolare le radici micorrizzate dalle quali nasce il tartufo devono essere traumatizzate il meno possibile. Al fine di ridurre al massimo questi traumi, il raccoglitore di tartufi dovrebbe salvaguardare le radicette che trova nel foro, ridurre al minimo le raspature del cane poiché fa disperdere la terra ricca di micorrizze (facendo maggiore attenzione per i fori più profondi per i quali si rischia di rimanere senza materiale per richiudere correttamente la buca) ed, infine, chiudere rapidamente la buca dopo aver prelevato il tartufo per prevenire l’essiccamento delle radici a causa dell’esposizione all’aria. Per effettuare correttamente la buca di raccolta del tartufo è necessario disporre in prossimità del foro la terra rimossa e, nel caso in cui il foro fosse su un pendio, posizionare la terra in alto al di sopra del foro stesso affinchè una volta raccolto il tubero l’operazione di chiusura risulti essere più facile. La chiusura corretta della buca consiste nel fatto di rimettere tutta la terra tolta all’interno del foro in modo da ripristinare esattamente lo stato iniziale del terreno. L’altra grande forma di tutela che ciascun tartufaio può attuare è quello di tentare di allargare le zone a vocazione tartufigena cercando di piantare nuovi alberi attraverso la semina (come può avvenire per le querce seminando le ghiande) o mettendo a dimora le talee (come ad esempio piantando dei rametti di pioppo bianco), attività che veniva svolta normalmente dai tartufai più anziani.
Oltre a queste attenzioni che sono richieste a tutti i raccoglitori di tartufi, esiste un altro livello di tutela del territorio che è anche una parte consistente dell’attività dell’associazione il tartufo aps ovvero il mantenimento e il recupero dei terreni a vocazione tartufigena. Infatti, l’associazione il tartufo aps, gestisce con regolari contratti di locazione almeno 180 ettari a vocazione tartufigena essenzialmente a tartufo bianco attraverso il ricorso al volontariato per il mantenimento del bosco. In questo è fondamentale l’esperienza dei raccoglitori di tartufi per le cure che possono avere nelle operazioni di taglio di infestanti e delle pianti sofferenti, oppure per le cure meccanizzate ricorrendo a contoterzisti, specie nelle zone di pianura poiché a causa della grandezza delle tartufaie risulta essere il metodo più efficiente. L’associazione il tartufo aps lavora attivamente anche per prevenire il taglio indiscriminato dei boschi e in caso di taglio cerca di intervenire a tutela delle zone a vocazione tartufigena.
Caratteristiche del terreno rispetto al tipo di tartufo
Terreno vocato a Tuber Magnatum Pico
I terreni dove è possibile trovare il famoso tartufo bianco pregiato sono discretamente dotati di calcare, poveri di fosforo e azoto, ricchi di potassio e possibilmente situati in prossimità di corsi d’acqua. Il PH di questi terreni è tendente all’alcalino, infatti questo tartufo predilige un PH leggermente superiore a 7. Le piante che possono avere micorrizze con questo tartufo sono: le querce (quercus rubor), la roverella (quercus pubescens), le cerre (quercus cerris), alcune latifoglie quali il tiglio (tilia platynophyllos) ma principalmente con il pioppo bianco (populus alba), il pioppo nero (populus nigra) o il salice (salix alba).
Terreno vocato a Tuber Melanosporum Vittadini
Il tuber melanosporum Vittadini predilige terreni a substrato calcareo e/o calcareo-argilloso (argilla massima 40%), costituiti da elementi granulosi più o meno fini e brecce calcaree cementate da materiale marnoso, sabbia, arena o altro materiale di riporto. Solitamente sono terreni ricchi di carbonato di calcio e poveri di resti organici (fosforo e azoto) con PH leggermente alcalino o neutro. Le piante che possono produrre questo tipo di tartufo sono il leccio (quercus ilex), la roverella (quercus pubescens), il tiglio (tilia plattphyllos), il nocciolo (corylus avellana) o il carpino nero (ostrya carpinifolia). E’ possibile riconoscere le tartufaie che producono questo tipo di tartufo, cosi come per il tuber aestivum, grazie alla presenza di “pianelli” o “bruciature” alla base dei tronchi degli alberi, dove l’erba sembra bruciata dalla presenza del tartufo.
Terreni dove è possibile raccogliere Tuber Aestivum
I terreni dove è possibile raccogliere il tuber aestivum ha le stesse caratteristiche dei terreni dove si raccoglie il tuber melanosporum, tranne per il fatto che preferisce uno scheletro maggiore e la quasi assenza di argilla a garanzia di un maggiore drenaggio del terreno. Anche per quanto concerne le piante possiamo ritenere che quelle che possono produrre il tuber melanosporum siano le stesse in grado di produrre il tuber aestivum, alle quali si può aggiungere il carpino bianco (carpinus betullus).
Terreni vocati a Tuber Borchii
Il tuber Borchii vittadini o Albidum Pico, è il cosiddetto tartufo marzuolo o bianchetto ed è per sua natura un tipo di tartufo abbastanza virulento, cioè ha una buona capacità di creare micorrizze con alcuni tipi di piante. Questo tipo di tartufo è abbastanza diffuso in tutta Italia poiché predilige sia terreni sabbioso-limonosi tipici dei litoranei sia i terreni calcarei-argillosi tipici delle colline. Il tuber Borchii è stato ritrovato in quasi tutta Europa fino al sud della Finlandia, e sono stati descritti ritrovamenti anche in Cina. Per questo tartufo sembra essere meno importante anche il PH del terreno, poiché si trova sia in terreni leggermente acidi ma anche in terreni alcalini con PH fino a 8,5, tuttavia, le condizioni migliori sono quelle dove il drenaggio dell’acqua è buono e difficilmente si troverà questo tartufo dove l’acqua ristagna. Le piante simbionti con questo tipo di tartufo sono: la roverella (quercus rubescens); la cerra (quercus cerris); il pino domestico (pinus pinea); il pino silvestre (pinus sylvrestris); il nero (pinus nigra); il leccio (quercus ilex); e il cedro (cedrus libany).
Cenni di tartuficoltura
L’associazione il tartufo aps, non si occupa direttamente di tartuficoltura nel senso letterale del termine, tuttavia, riteniamo che svolga un lavoro importante per il mantenimento del territorio e in funzione di questo operi per il mantenimento delle zone produttive. La nostra associazione può vantare ottimi risultati per quanto riguarda il ripristino e la sostituzione di piante in zone vocate alla produzione di tartufo bianco anche a seguito della sostituzione integrale degli alberi come avvenuto nelle zone di pianura. L’approccio dell’associazione il tartufo aps è quello di ripristinare, ove possibile, la situazione naturale esistente in natura, sostituendo le piante dove necessario, tagliando le infestanti nei boschi che tendono a far soffocare le piante vocate alla produzione di tartufi ed interventi volti alla rimozione di tronchi di legno nelle aree di produzione. La tartuficoltura, viceversa, intesa come la messa a dimora di piante micorrizzate che potenzialmente possono produrre tartufo non è la strada intrapresa dalla nostra associazione poiché i risultati sembrano essere evidenti solo per la produzione di tartufo nero. Ciò non preclude il fatto che, in futuro, grazie anche alla prospettiva di finanziamento tramite progetti debitamente curati si possa arrivare a sovvenzioni da parte delle istituzioni per poter incentivare percorsi di ripristino di territori a vocazione tartufigena. Infatti stiamo cercando di implementare le nostre zone sotto tutela vocate a tartufo bianco con altre anche di nuova costituzione a tartufo nero, e per questo lo sviluppo delle attività di partecipazione alla produzione normativa negli appositi spazi dedicati, ci proietta come interlocutori per le istituzioni locali.